Per la precisione, il suo nome è domenica della Passione del Signore, ma tutti la ricordiamo per il segno suggestivo delle palme e dei rami di olivo, levati al cielo, sotto un bel sole primaverile, mentre si canta e si prega per accompagnare Gesù che fa il suo ingresso nella città santa.

La domenica delle palme è una festa un po’ strana, perché mentre accogliamo con allegria il Re, ascoltiamo il lungo racconto della sua ingiusta condanna a morte, a seguito del tradimento e dell’abbandono. La folla festante diventa in breve tempo una folla omicida e la festa si trasforma in un’esecuzione che ci lascia sgomenti per la sua crudezza.

Nella seconda lettura che si proclama oggi, sentiamo vibrare le parole dell’apostolo Paolo:

Cristo per noi si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce. (Fil 2,8)

La morte di Cristo ha un impatto diretto sulla nostra esistenza, poiché egli ha sacrificato la propria vita per noi. Il messaggio che lanciamo nella settimana che oggi inizia è questo: la via scelta da Gesù, cioè la via della morte ignominiosa sulla croce, ha il potere di donare un nuovo significato alla morte e, quindi, alla vita di ognuno di noi.

Questo è un messaggio scandaloso e folle, anche per noi che lo ascoltiamo oggi, proprio come accadeva nei tempi in cui l’apostolo Paolo predicava il Vangelo agli albori della Chiesa. Stiamo meditando su questo messaggio in questi mesi, durante i quali, come comunità parrocchiale, ci stiamo dedicando settimanalmente alla lettura della prima lettera ai Corinzi. A questa piccola comunità cristiana da lui fondata, Paolo scrive:

Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio (1Cor 1,22-24).

All’epoca di Paolo, la croce rappresentava il castigo supremo, sinonimo dell’infamia più atroce. Il solo discuterne era considerato indecente, addirittura vergognoso. Tuttavia, Paolo – e noi con lui anche oggi – proclamiamo Cristo crocifisso come fulcro della nostra fede. Sosteniamo che quell’evento abbia segnato un punto di svolta nella storia e che la passione di Gesù sia motivo di vanto, sia il momento supremo della sua elevazione da terra. L’evangelista Giovanni dice che la morte di Gesù sulla croce è la sua glorificazione. Affermiamo, con Paolo, che nella passione c’è risiede una sapienza che supera la comprensione dei grandi della terra, e di fronte a tale sapienza, persino i re si tappano la bocca (Isaia 52,15).

Ma come è stato possibile ciò? Perché agitiamo festosi rami di olivo e palme per accogliere un re così strano? Perché inauguriamo un tempo di croce, morte, con una festosa assemblea? Cosa ci spinge a dire che quest’uomo che viene debole, indifeso, vulnerabile, senza oro, senza soldi, senza potere è il benedetto che prende posto sul suo trono regale? Cos’è questo ribaltamento di ogni valore mondano, addirittura di ogni buon senso? Insomma, come ha fatto un condannato a morte a diventare il centro della storia? E ancora, in che modo questo evento tragico può influenzare la nostra vita? Come possiamo prendere la passione di Gesù traccia da seguire per una vita piena e significativa?

Per noi, se siamo onesti con noi stessi, la croce continua ad essere uno scandalo e una follia. Ogni giorno siamo circondati da messaggi ben diversi. Ci viene detto costantemente che la nostra infelicità è dovuta alla mancanza: mancanza di bellezza, di salute, di risorse, di sicurezza.

Ci viene proposto un’unica via per uscire da questo stato di infelicità: abbassare le nostre aspettative e goderci la vita. Cercare la giustizia? È un’illusione. Coltivare il bene? È tempo sprecato. Provare ad amare incondizionatamente? Non ne vale la pena. Dimentica tutto ciò, ti porterà solo dolore. Concentrati su te stesso, risolvila da solo. E soprattutto, goditi la vita.
Così, ciascuno di noi cerca disperatamente un po’ di sollievo dall’insicurezza che ci attanaglia. Ci lasciamo ingannare dalla ricerca del denaro, pronti ad ottenerlo a qualsiasi costo, anche calpestando ogni regola morale, convinti che attraverso il denaro possiamo ottenere piacere, onore, potere o sicurezza. Cadendo nell’illusione che possedere persone o cose possa renderci felici. “Se ti fa stare bene, perché non farlo?”

E alla fine, come canta Vasco Rossi,

Siamo qui, pieni di guai, a nascondere quello che sei dentro quello che hai. Siamo qui, soli e delusi, a confondere quello che sei dentro quello che usi (V. Rossi, Siamo qui, 2021).

L’uso e l’abuso delle cose e soprattuto delle persone, all’inizio ci danno piacere, è vero, ma poi, inevitabilmente, portano alla dissoluzione morale, alla distruzione della nostra vita, a volte anche della nostra vita fisica. Restiamo soli, delusi, persi e vuoti. Molto più tristi di prima.

Gesù, con il dono della sua vita, ha ribaltato questa situazione. Egli, ci dice Paolo, è morto per noi per cancellare il nostro peccato. Diciamola questa parola. Non è una parola vecchia. Certo, la dobbiamo capire bene. Non ci perdiamo nel senso di colpa o in un vecchio immaginario religioso che ci ingrigisce il cuore e non serve a rendere più bella la nostra vita. Il peccato, però, va preso sul serio. È la radice dei nostri mali. Il nostro rifiuto a Dio, alla vita, al bene è ciò che ci conduce alla sofferenza e alla morte. Quando scoppiano le guerre – tra le nazioni o dentro le nostre case – è perché si è detto un no alla pace, è perché si è scelta la violenza e la prevaricazione dell’altro; quando si scatenano in mezzo gli effetti dell’ingiustizia è perché abbiamo detto no alla dignità dell’essere umano; quando c’è fame, precarietà, quando si deve scappare dalla propria terra, è perché abbiamo preferito il nostro interesse personale al bene comune. Il peccato è la causa principale della nostra infelicità.

Noi non siamo capaci di uscire da soli da questa situazione. Per quanto ci sforziamo, c’è una forza bruta che non riusciamo a vincere da soli, come un grave veleno che si è diffuso tra noi e per il quale non abbiamo una medicina.

Nella croce di Gesù, Dio stesso è intervenuto per vincere il peccato. Come dice Paolo, il documento della nostra condanna è stato inchiodato alla croce di Cristo (cfr Col 2,14). Un nuovo capitolo della storia si è aperto, perché viene rivelato l’inganno e i valori del mondo vengono capovolti:

  • la rinuncia alla violenza diventa la più grande forza di trasformazione della realtà;
  • la cura, l’interesse per il bene dell’altro diventa il modo più vero di perseguire la propria realizzazione personale;
  • Portare fino in fondo la scelta di amare, con fedeltà, di perdonare quasi con caparbietà, di non arrendersi all’evidenza del “no” e del rifiuto del bene. È follia, perché no, ma che ha in sé una saggezza che finalmente sa parlare la lingua della nostra umanità più autentica.

Ecco cosa c’è da riscoprire in quel rametto che ci portiamo a casa alla fine di questa strana domenica. Non un oggetto scaramantico, ma il segno di un nuovo modo di intendere la vita, che vediamo risplendere sul volto del Signore, crocifisso e risorto per noi.


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