Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37).
All’inizio e alla fine della sua vita, Gesù si trova a confrontarsi con il potere dei re. Torneremo a meditare questi fatti tra poche settimane, quando vedremo il Bambino Gesù portato lontano, in fretta, perché la furia di Erode non lo raggiunga. Mentre alla fine della sua vita – e alla fine di questo anno liturgico – lo troviamo a dibattere con un perplesso Pilato, rappresentante del potere imperiale, che dall’alto della sua arroganza si fa delle strane domande, trovandosi di fronte tutt’altro che un matto, come forse aveva pensato inizialmente.
In entrambi i casi, i vangeli tengono molto a consegnarci il comportamento del tutto inconsueto di Gesù. Il Bambino indifeso che fa tremare Erode alla sola notizia della sua nascita, il mite sconosciuto che con la sua silenziosa presenza interpella la coscienza. L’esatto opposto di quella logica potente che vediamo all’opera nell’esercizio umano del potere, ben espressa nell’immagine del re a cui siamo abituati.
Sono ancora i vangeli, però, che con grande attenzione vogliono aiutarci a capire la nobiltà, la regalità autentica di questo modo di essere di Gesù. Egli non è in balia degli eventi, la sua è una scelta: «…consegnandosi volontariamente alla passione…» (Messale romano, Preghiera eucaristica II).
Gesù, con ogni singolo aspetto del suo comportamento e nell’insieme della sua persona, nel modo in cui si porge al mondo, realizza due operazioni: smaschera l’inganno del potere; rivela il volto autentico di Dio e degli umani.
Smaschera l’inganno del potere perché rende evidente che esso si poggia sulla paura, che non ha consistenza in se stesso, che è qualcosa che passa. Il vangelo ci fa capire che questa logica del potere è destinata a fallire, che è malata in se stessa, che la sua ricerca corrompe e distrugge, per primi, coloro che la esercitano e, al contempo, coloro che la subiscono.
L’inganno del potere continua a mietere vittime, nelle famiglie, nella società, tra le nazioni. Produce schiavitù e miseria, sia di genere economico che – soprattutto – in termini di privazione della nostra dignità umana, anche di chi, annebbiato dal benessere e dall’opulenza, vive nella percezione (falsa) di essere libero e sovrano.
Gesù rivela l’onnipotenza di Dio, che consiste nell’amore. Lo fa con la paradossale presenza, che si realizza in lui, di un Dio che si sottopone a un interrogatorio, pronto ad essere «immolato e ritto in piedi» (Ap 5,6), vittorioso. Un potere di amore, che non umilia, ma rialza (Lc 1,52); non produce schiavitù, ma inaugura cammini di liberazione (Gv 8,32).
Questa regalità ci viene partecipata da Gesù. Egli, ancora più precisamente, ci mostra con efficacia che il cammino di maturazione della nostra umanità è un esercizio di questa regalità, posta in noi come un seme, che ci appartiene come qualcosa di strutturale alla nostra autentica maturità umana: « ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6).
Perciò, «il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7,14), perché è l’espressione di quella vera regalità, di quell’autentica onnipotenza di amore che si mostra a noi, perché la facciamo nostra, nella divina umanità del Signore Gesù, re dell’universo.






Lascia un commento