Canto delle salite. Di Davide.
Signore, non si esalta il mio cuore
né i miei occhi guardano in alto;
non vado cercando cose grandi
né meraviglie più alte di me.
Io invece resto quieto e sereno:
come un bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è in me l’anima mia.
Israele attenda il Signore,
da ora e per sempre. (Sal 131,1-3)

Questo breve componimento, parte dei Canti delle salite, racchiude nella sua disarmante semplicità, una lezione articolata sulla preghiera autentica. Vediamo come questo salmo è capace d’illuminare il nostro cammino di fede personale e comunitario.

La struttura del Salmo

Il Salmo 131 si distingue per la sua straordinaria brevità – appena tre versetti – ma questa concisione nasconde una ricchezza spirituale sorprendente. La sua struttura si sviluppa come un movimento tripartito:

  1. Una dichiarazione personale di umiltà
  2. Un’immagine di pace interiore
  3. Un’esortazione comunitaria

Questa progressione non è casuale, ma riflette il percorso spirituale che ogni credente è chiamato a compiere: dall’esperienza personale alla dimensione comunitaria della fede.

L’umiltà come fondamento

Il primo versetto del salmo presenta tre rinunce fondamentali:

  • Il rifiuto della superbia del cuore
  • L’abbandono dello sguardo altero
  • La rinuncia alla ricerca di cose troppo grandi

Questi tre elementi costituiscono il fondamento di una preghiera autentica. L’orante riconosce i propri limiti non come una sconfitta, ma come uno spazio di incontro con la dimensione più autentica, dove è possibile anche sperimentare Dio. È un’inversione radicale della logica mondana: la vera grandezza si trova nell’accettazione serena della propria piccolezza davanti a Dio, nella scoperta di un legame filiale che è capace d’illuminare sin modo nuovo l’esistenza.

L’immagine del bambino svezzato

Al centro del salmo troviamo un’immagine di straordinaria potenza: quella del bambino svezzato in braccio a sua madre. È significativo notare che non si parla di un neonato, ma di un bambino che ha già superato la fase dell’allattamento. Questa scelta simbolica comunica diversi livelli di significato per la vita di preghiera:

  1. Maturità nella relazione filiale: Come il bambino svezzato ha raggiunto un nuovo livello di autonomia pur mantenendo un profondo legame con la madre, così il credente maturo sviluppa una relazione con Dio caratterizzata da libertà e fiducia.
  2. Equilibrio spirituale: L’immagine suggerisce una pace che non deriva dall’immaturità ma da una scelta consapevole che si è fatta “cammino”.
  3. Intimità trasformata: vediamo il passaggio da una spiritualità infantile, di immatura dipendenza, a una più matura e responsabile.

La dimensione comunitaria: dall’io al noi

Il terzo versetto compie un passaggio dall’esperienza individuale alla dimensione comunitaria: Spera Israele nel Signore, ora e sempre. Questo movimento può rivelare importanti implicazioni per la vita ecclesiale:

1. La testimonianza personale diventa patrimonio comune

L’esperienza individuale di pace e umiltà non rimane confinata nella sfera privata ma si trasforma in un dono per l’intera comunità. Il cammino spirituale personale illumina e sostiene quello degli altri.

2. La preghiera come esperienza relazionale comunitaria

Il salmo suggerisce che la vera maturità spirituale si manifesta nella capacità di passare da una preghiera centrata su se stessi a una preghiera che esprime l’essere parte di una comunità.

3. L’attesa comunitaria

L’invito finale a sperare nel Signore è rivolto a tutto il popolo, suggerendo che l’attesa di Dio è un’esperienza che trova la sua pienezza nella dimensione comunitaria.

Applicazioni pratiche per la vita di preghiera

Come possiamo tradurre gli insegnamenti del Salmo 131 nella nostra vita di preghiera personale e comunitaria?

Per la preghiera personale:

  1. Coltivare il silenzio interiore: il salmo ci invita a cercare calma interiore coltivando spazi di silenzio contemplativo.
  2. Praticare l’umiltà: riconoscere e accettare i propri limiti come spazio di incontro con Dio e con gli altri.
  3. Sviluppare la fiducia: imparare ad abbandonarsi a Dio come il bambino svezzato.

Questi atteggiamenti interiori sono mete spirituali che si possono raggiungere gradualmente, mai in modo definitivo, se coltivati con costanza attraverso un cammino di preghiera, riflessione e condivisione, di esercizio quotidiano. La dimensione della ricerca personale s’intreccia con quella del cammino comunitario.

Per la preghiera comunitaria:

  1. Condivisione delle esperienze spirituali: permettere che il proprio cammino sia un contributo per quello degli altri.
  2. Costruzione di una comunità orante: creare spazi dove la preghiera personale possa alimentare quella comunitaria e viceversa.
  3. Sostegno reciproco: vivere l’attesa di Dio come esperienza condivisa.

Il valore terapeutico del Salmo

In un’epoca segnata dall’ansia e dalla ricerca ossessiva di successo, il Salmo 131 offre una via di guarigione interiore attraverso:

  1. La liberazione dalle aspettative eccessive;
  2. L’accettazione serena dei propri limiti;
  3. La scoperta della pace interiore nell’abbandono fiducioso.

«Come un bambino…»

La tradizione cristiana ha colto nel Salmo 131 un’anticipazione dell’insegnamento di Gesù. L’immagine del bambino svezzato trova infatti un’eco significativa nelle parole di Cristo: Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3) e Chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso (Mc 10,15).

Se nel Salmo 131 il bambino svezzato rappresenta colui che ha trovato il suo equilibrio in Dio, nei Vangeli l’infanzia spirituale diventa condizione necessaria per accogliere il Regno. In entrambi i casi, non si tratta di un elogio dell’immaturità o dell’infantilismo, ma di una chiamata alla fiducia radicale e ad assumere il punto di vista di chi è piccolo.

Gesù stesso incarna questa realtà nella sua relazione con il Padre. Il suo uso della parola Abbà per riferirsi a Dio, testimoniato nei Vangeli, esprime proprio quella familiarità fiduciosa che il Salmo 131 descrive attraverso l’immagine del bambino in braccio alla madre. Non è un caso che Paolo, in Romani 8,15, colleghi questa esperienza filiale di Gesù con quella dei credenti che, guidati dallo Spirito, possono chiamare Dio con lo stesso termine intimo, Abbà.

L’interpretazione cristologica del Salmo ci permette anche di comprendere più profondamente il significato dell’umiltà descritta nel primo versetto. Cristo stesso, come ricorda l’inno della Lettera ai Filippesi (2,6-11), non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma si è fatto piccolo. In questa prospettiva, il non vado cercando cose grandi del salmista diventa profezia dell’umiltà del Messia, che ha scelto la via della kenosi, dello svuotamento, come strada per la vera grandezza.

«…in braccio a sua madre»

L’immagine sorprendente che fa da architrave al salmo 131 offre l’opportunità di approfondire la comprensione biblica di Dio attraverso metafore materne. Questa rappresentazione materna di Dio si inserisce in una ricca tradizione biblica.

Il profeta Isaia offre alcuni passaggi intensi da questo punto di vista. In 49,15 leggiamo: 

Si dimentica forse una donna del suo bambino, 
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.

Dio non solo si paragona a una madre, ma si presenta come una madre ancora più fedele e amorevole di quelle terrene. Più avanti, la promessa divina si fa ancora più esplicita: Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò (Is 66,13).

Questa dimensione materna dell’amore divino emerge anche nel libro del Deuteronomio, dove Dio è presentato come colui che ha portato il suo popolo come un uomo porta il proprio figlio (Dt 1,31), un’immagine che unisce l’autorità protettrice tipicamente paterna alla tenerezza materna. Nel libro di Osea, troviamo l’immagine di Dio che insegna a camminare a Efraim, tenendolo per mano (Os 11,3-4), in un gesto che richiama la paziente dedizione di una madre verso il proprio figlio.

Il nostro salmo si inserisce in questa tradizione arricchendola con l’immagine specifica del bambino svezzato, suggerendo che la maternità di Dio non è soffocante ma liberante, non crea dipendenza ma autonomia nella relazione.

Questa prospettiva teologica ha importanti implicazioni per la spiritualità contemporanea. In un’epoca in cui si riscopre l’importanza di un linguaggio che esprima la complessità e la ricchezza dell’amore divino, superando ogni riduzione a stereotipi di genere, questo approccio all’esperienza spirituale ci è di grande aiuto. La maternità di Dio si rivela come un tema profondamente radicato nella Scrittura, capace di parlare in modo particolare alla sensibilità contemporanea.

Conclusione: in cammino verso alla maturità spirituale

Il Salmo 131 ci invita a un cammino di maturazione spirituale che integra:

  • L’umiltà come fondamento;
  • La pace interiore come esperienza;
  • La dimensione comunitaria come compimento.

Questo breve componimento continua a parlare al cuore dei credenti, offrendo una via di crescita spirituale che unisce la dimensione personale a quella comunitaria. La sua saggezza rimane sorprendentemente attuale, indicando un percorso di autenticità spirituale che può trasformare sia il singolo che la comunità.

La vera sfida che ci pone è quella di vivere questa spiritualità dell’umiltà e dell’abbandono non come una fuga dalla realtà, ma come via maestra per una vita di fede matura e feconda. In un contesto che spesso ci spinge verso l’autorealizzazione individualista e la competizione, il Salmo 131 ci ricorda che la vera grandezza si trova nell’umile riconoscimento della nostra dipendenza filiale da Dio e nella condivisione di questo cammino con i nostri compagni di strada.


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