Il filo rosso di questa domenica è la gratitudine che diventa fede. Naaman, straniero guarito, ritorna per riconoscere il Dio d’Israele; un samaritano, l’unico tra dieci, torna a ringraziare Gesù; Paolo canta la fedeltà di Cristo che non viene meno anche quando noi siamo infedeli. La guarigione apre alla salvezza nel farsi riconoscimento, lode, gratitudine.
Prima lettura — 2 Re 5,14-17
Naaman, generale straniero, accetta di immergersi nel Giordano. È un uomo potente che impara l’umiltà della: non incantesimi, non gesti spettacolari; sette immersioni in un fiume che ai suoi occhi pare mediocre. Un gesto di fiducia. Il miracolo non è solo la pelle tornata “come quella di un fanciullo”: è la conversione. Naaman non compra il profeta, non compra Dio: riceve e, ricevuto il dono, chiede di portare con sé un poco di terra d’Israele. Vuole pregare su una terra nuova, segno di appartenenza.
- Dio agisce nella semplicità; l’educazione alla fede passa per gesti poveri ma costanti (una benedizione, un’acqua, un ascolto).
- Le guarigioni autentiche generano restituzione: Naaman ritorna da Eliseo; chi ha ricevuto non si chiude, ma si apre all’adorazione.
Seconda lettura — 2 Tim 2,8-13
Paolo scrive in catene, ma non da sconfitto: sa che la fedeltà del Signore è più tenace dei nostri legami. La “parola fedele” scandisce quattro movimenti: morire con lui, vivere con lui; perseverare con lui, regnare con lui; rinnegare lui, essere rinnegati; ma quando siamo infedeli, egli rimane fedele perché non può rinnegare sé stesso.
Qui emerge il fondamento cristologico della gratitudine: non ringraziamo Dio perché “ci è andata bene”, ma perché Dio, in Cristo, non si ritira davanti alla nostra infedeltà. La riconoscenza cristiana nasce da questa fedeltà preveniente, non dai risultati delle nostre imprese.
Vangelo — Lc 17,11-19
Dieci lebbrosi, tutti a distanza di sicurezza: la malattia separa, la Legge sganciata dalla sua sorgente (l’amore di Dio) e dal suo fine (la conformazione del cuore all’amore Dio), isola. Chiedono misericordia, Gesù li manda ai sacerdoti perché verifichino una guarigione non ancora avventura, e mentre vanno vengono guariti. La grazia li sorprende in cammino, dentro l’obbedienza a una parola. Forse la guarigione è mettersi in moto, fidandosi di una parola che illumina il cammino.
Uno solo — un samaritano — torna indietro, loda Dio a gran voce e si prostra ai piedi di Gesù.
«Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?».
Il punto non è mostrare che la guarigione non coincide automaticamente con la salvezza. Per quest’ultima occorre il ritorno: riconoscere l’origine del dono, entrare in relazione con il Donatore. «La tua fede ti ha salvato»: la fede qui è gratitudine intelligente, capacità di leggere nella guarigione un appello a legarsi a Gesù.
Per riflettere
- Universalità della salvezza: Naaman e un samaritano (due “lontani”) sono i protagonisti della riconoscenza. Dio oltrepassa i confini: la Chiesa non custodisce recinti, ma apre porte.
- Semplicità sacramentale: acqua, parola, cammino. I segni sono poveri, i gesti sono umili, ma dentro c’è la potenza di Dio. La liturgia è l’arte di far spazio a questa potenza, non di sostituirla. La vita quotidiana, con la sua ferialità, può farsi trasparenza dell’opera di Dio.
- Gratitudine come parte dell’atto di fede: imparare ad essere grati è riconoscere l’Altro e disporsi a ri-orientare la vita.
- Fedeltà di Dio in Gesù: se la guarigione dipende dalla nostra risposta, la fedeltà di Dio no. Proprio per questo possiamo ritornare, sempre, anche dopo i nostri “nove” allontanamenti.






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