«Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,12)
La festa della nostra vocazione
Nel giorno di Tutti i Santi non celebriamo un elenco di nomi, ma una vocazione universale: la chiamata alla santità.
Oggi è la festa di tutti coloro che hanno preso sul serio il Vangelo e hanno accettato la sfida di viverlo nel quotidiano, perché hanno saputo intravedere la promessa di vera felicità che è contenuta nella vita e nel messaggio di Gesù.
Gesù ci ha mostrato che la santità è ciò che Dio sogna per ciascuno di noi. Non è un privilegio né una fuga dalla realtà. È piuttosto pienezza possibile, un modo di abitare la vita con libertà, fiducia e fedeltà.
«Una moltitudine»
L’Apocalisse parla di una folla di gente che nessuno poteva contare: «di ogni nazione, tribù, popolo e lingua».
È una visione ampia, concreta, inclusiva. La santità è all’opera molto più di quanto possiamo immaginare. L’elenco dei Santi non coincide con quello del calendario: tanto che nessuno può contarli.
La santità, inoltre, non è uniforme: è piena realizzazione di sé, della propria singolarità, messa a servizio della comunione.
Ogni volto, ogni storia, ogni cultura può diventare trasparente alla grazia. Quel numero incalcolabile dice quanto è grande la capacità di Dio di trasformare la fragilità umana in benedizione.
E in quella moltitudine, ci siamo anche noi. Non ancora compiuti, ma già chiamati.
«Siamo figli di Dio» (1Gv 3,1)
La seconda lettura di oggi ci riporta all’essenziale: la santità ha origine e si sviluppa in una relazione, non è il risultato di una prestazione.
«Siamo figli di Dio» — è un’identità, non un traguardo. Essere figli significa vivere di fiducia, non di paura. Chi sa di essere figlio può rischiare, perdonare, rialzarsi.
Il santo non è chi non cade, ma chi non smette di credere nell’amore che lo rialza. E forse la conversione più grande che ci è chiesta è proprio questa: passare dall’immagine di un Dio che giudica a quella di un Padre che genera.
Le Beatitudini: una vera rivoluzione
Gesù, sul monte, non proclama leggi, ma indica un modo di esistere. Le Beatitudini non sono comandi, ma orizzonti. Descrivono il volto del discepolo, non l’ideale dell’eroe.
Essere poveri di spirito significa vivere senza possesso, con le mani aperte.
Essere miti vuol dire non rispondere alla violenza con altra violenza.
Essere puri di cuore è guardare la realtà senza doppi fondi.
Essere operatori di pace è non smettere di credere nella riconciliazione, anche quando costa.
Sono parole che non promettono una vita comoda, ma una vita vera. E se oggi facciamo fatica a riconoscerne la forza, è perché ci siamo abituati a misurare la riuscita solo con i criteri del successo. Il Vangelo, invece, misura la riuscita con i criteri dell’amore.
I santi di oggi
I santi non appartengono solo al passato. Sono anche le persone che vivono accanto a noi e che, magari senza saperlo, rendono il mondo più umano.
Chi rimane fedele quando tutti si stancano;
chi sceglie di curare invece di giudicare;
chi non lascia spegnere la speranza — anche questo è santità.
Dio non cerca persone straordinarie, ma uomini e donne disponibili.
La santità è una storia ordinaria che diventa luminosa perché attraversata dalla fiducia in Dio.
La santità come promessa di futuro
Celebrando i santi, non guardiamo solo indietro: guardiamo avanti.
La loro vita è una profezia di ciò che l’umanità può diventare.
In un mondo frammentato, dove tutto sembra consumarsi in fretta, i santi ci ricordano che la speranza è possibile, che il bene non è un’illusione, che la luce non è mai definitivamente spenta.
La santità è il futuro di Dio dentro la storia umana. È la sua risposta alla paura, al cinismo, alla rassegnazione. E ogni volta che scegliamo di restare umani, di amare, di credere, quel futuro comincia già adesso.





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