La liturgia di questa domenica ci invita a celebrare la dedicazione di una particolare chiesa che si trova a Roma. Nel farlo, non celebriamo un edificio, ma ciò che esso simboleggia: la presenza viva di Dio nel suo popolo, nella Chiesa come “tempio vivo”.
Le letture che ascoltiamo — dal Libro del profeta Ezechiele (47,1‑2.8‑9.12), dal Prima Lettera ai Corinzi (3,9c‑11.16‑17) e dal Vangelo secondo Giovanni (2,13‑22) — pongono in dialogo la casa di Dio, l’acqua che purifica, l’edificio che siamo noi, il corpo di Cristo. Per la nostra comunità parrocchiale queste parole risuonano come una sfida e una consolazione insieme: essere “tempio vivo”, riconoscersi nella fragilità e nella speranza, affinché la nostra presenza nella città diventi segno visibile del Regno.
Prima lettura — Ezechiele (47,1‑2.8‑9.12)
Il profeta Ezechiele ci regala un’immagine molto ricca: un’acqua che scorre dal tempio, diventa torrente, risana, dà vita. «Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà», «i loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina».
Spunti di riflessione
- Il “tempio” non è solo struttura: l’acqua esce, scorre, abita il creato. È immagine della grazia che raggiunge ogni cosa e tutto sostiene.
- La purificazione, la vita che nasce nell’acqua: quando facciamo rete, quando ci dedichiamo alla cura, siamo presenza, generiamo “vita” non solo “servizi”.
- L’acqua è simbolo di vitalità e di missione: non resta statica, va verso oriente, risana. Per noi: uscire, non restare nell’”edificio chiuso”.
- “I loro frutti non cesseranno”: segno che un agire a partire dalla grazia vale per il lungo termine.
Seconda lettura — 1Corinzi 3,9c‑11.16‑17
Paolo scrive: «Voi siete edificio di Dio… non fate della casa di Dio un mercato». Il tempio è la comunità, i credenti. Lo Spirito di Dio abita in noi.
Spunti di riflessione
- La comunità non è “nostro possesso”, ma “edificio di Dio”. Questo richiama l’umiltà a cui siamo chiamati: non padroni del tempio, ma cooperatori di una grazia.
- «Non sapete che siete tempio di Dio?»: colo che incontriamo e serviamo sono tempio di Dio. L’agire ecclesiale diventa riconoscimento di dignità.
- «Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio lo distruggerà»: un richiamo forte, ma da leggere in senso ecclesiale: se veniamo meno alla vocazione all’amore, alla relazionalità, danneggiamo la costruzione della comunità.
Vangelo — Giovanni 2,13‑22
L’episodio della purificazione del Tempio: Gesù scaccia i venditori, rovesciandone i banchi: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Ma parla, in realtà, del tempio del suo corpo.
Spunti di riflessione
- Il tempio come edificio perde centralità, perché trova il suo autentico significato: il vero tempio è il corpo di Cristo, e il corpo dei credenti vi appartiene. In Gesù noi siamo nella vera relazione con Dio (figli) e tra noi (fratelli).
- Il gesto di Gesù è provocatorio: non accetta che la casa del Padre diventi mercato. Ogni volta che la comunità si riduce a funzioni, servizi, marketing, dimentica la dimensione dell’incontro.
- La risurrezione in tre giorni: promessa di vita nuova, ma che inizia ora. La strada, il quartiere, l’oratorio possono essere già “laboratorio della risurrezione”.
Conclusione
La solennità della dedica della Basilica Lateranense diventa per noi occasione di riconoscere che la Chiesa non è solo pietre dimesse, ma vita che scorre, relazione viva, tempio dell’amore di Dio. Nel contesto dell’educazione di strada, questo significa uscire, abitare, presidiare, costruire relazioni che generano vita.
Preghiera suggerita
«Dio misericordioso, che con pietre vive e scelte prepari una dimora eterna per la tua gloria, effondi su questa comunità la grazia che hai donato: fa’ che noi, tempio del tuo Spirito, fioriamo in presenza, servizio, relazione, e diventiamo canale della tua vita che scorre. Per Cristo nostro Signore. Amen.»





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