Con la I Domenica di Avvento inizia un nuovo anno liturgico. La Parola ci mette subito davanti a una domanda seria: che umanità vogliamo realizzare nella nostra vita?
Il Vangelo di Matteo (24,37-44) ci porta sul monte degli Ulivi: Gesù guarda il tempio che presto sarà distrutto e annuncia la fine di un “mondo”. Non del mondo materiale, fisico, ma di un sistema disumano: il mondo della violenza e dell’ingiustizia. Con immagini apocalittiche (sole oscurato, stelle che cadono…) Gesù annuncia la fine di tutti i falsi “assoluti” che l’uomo si è costruito e che lo hanno reso schiavo.
La prima lettura (Is 2,1-5) parla di “nuovi cieli e nuova terra” in termini di pace: spade trasformate in aratri, lance in falci.
La seconda lettura (Rm 13,11-14) ci chiama al risveglio: «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno … la notte è avanzata, il giorno è vicino».
L’Avvento comincia così: con un invito a vigilare, non per paura, ma per non perdere l’occasione di entrare nel mondo nuovo che Gesù, il Figlio dell’uomo, inaugura. Gesù viene oggi, nella nostra storia concreta, per renderci finalmente “uomini veri”, non belve che si divorano. Il Vangelo ci chiede: vuoi restare nel mondo vecchio o entrare in quello nuovo?
«Quando il Signore verrà». Matteo 24,37-44
Gesù parla dal monte degli Ulivi, guardando il tempio. Ha annunciato che verrà distrutto: è la fine di un mondo religioso e politico che sembrava indistruttibile. Usa un linguaggio apocalittico — sole oscurato, stelle che cadono — per dire che tutti gli idoli che dominano la storia stanno per tramontare. Non sono gli astri fisici a spegnersi, ma le false divinità: potere, denaro, violenza, idolatria della forza.
In questo contesto Gesù parla della venuta del Figlio dell’uomo e la paragona ai giorni di Noè. Non sottolinea grandi peccati spettacolari: «mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito». Cose normali. Il punto non è “cosa” facevano, ma come: una vita chiusa nel proprio orizzonte, incapace di leggere i segni di un mondo che sta cambiando, indifferente al progetto di Dio.
L’immagine di Noè che costruisce l’arca è quella di chi si lascia avvertire, di chi prepara un futuro diverso mentre gli altri continuano come se nulla dovesse mai cambiare. Il “diluvio” è la fine di un’umanità corrotta e violenta (Gen 6): non è un capriccio divino, è il collasso di un sistema basato sulla sopraffazione.
Gesù poi parla di due uomini nel campo e due donne alla mola: uno “preso” (si può tradurre anche “accolto”) l’altro “lasciato”. Due modi diversi di vivere la stessa realtà quotidiana. Il lavoro e le relazioni possono essere vissute secondo la logica dell’egoismo o secondo la logica del Regno. Il Vangelo non dirà mai di abbandonare il proprio mestiere, ma di trasformarlo dall’interno. C’è chi usa il proprio ruolo per sfruttare, accumulare, imporre; e chi lo vive come servizio, cura, giustizia.
Infine, l’immagine del ladro nella notte. Il Signore non è “ladro” nel senso negativo; l’immagine sottolinea la imprevedibilità della sua venuta. Il problema non è calcolare il momento, ma vivere in una disposizione di vigilanza: cuore desto, coscienza sensibile, capacità di discernere ciò che è conforme al Figlio dell’uomo da ciò che lo tradisce.
Gesù non ci minaccia con un futuro spaventoso, ma ci libera dalla paura. Il verbo “viene” è al presente: il Figlio dell’uomo viene oggi nella nostra storia, attraverso il Vangelo, le situazioni, i poveri, le scelte quotidiane. L’Avvento è proprio questo: il desiderio di non perdere la visita del Signore che passa nella nostra giornata.
Per il nostro cammino di Avvento
- Vigilanza come stile di vita. Viviamo momenti di silenzio e di ascolto della Parola (Novena dell’Immacolata e di Natale, ritiro parrocchiale, adorazione eucaristica) per imparare a “leggere” la vita alla luce del Vangelo. Vigilare non è discernere: cosa, nelle mie scelte, mi rende più simile a Gesù e cosa, invece, alimenta la logica destinata al fallimento (competizione, rancore, cinismo, egoismo, avidità)?
- Il Signore è all’opera nel mio quotidiano. Chiediamo ci ogni giorno: «Come cambia il mio modo di lavorare, di incontrare gli altri, di vivere in famiglie nella società, se mi lascio guidare dal Vangelo?”. Posso vivere ogni cosa della mia vita come una vocazione al servizio.
- La nostra Comunità come “arca”. La parrocchia è luogo dove si impara uno stile diverso: non club dei perfetti, ma cantieri di umanità nuova. Chi vive la Comunità o si avvicina a essa dovrebbe trovare segni concreti di questo mondo “altro”: accoglienza, cammini di riconciliazione, cura dei più fragili.





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